Pubblicato il 27/10/2025
Categoria : Diritto Penale | Sottocategoria : Diffamazione
Con la pronuncia della
Suprema Corte di cassazione n. 29458 del 12 agosto 2025, è stata nuovamente
esaminata la fattispecie delittuosa ex art 595, c.3, c.p. consistente nella
diffamazione aggravata dall’utilizzo di un mezzo di pubblicità quale è, a pieno
titolo, il social network Tik Tok.
Aspetto interessante di
questa pronuncia è l’approfondita analisi del concetto di presenza della
persona offesa, nella particolare accezione di “presenza virtuale”. In
particolare, la Corte, rigettando il ricorso proposto dall’imputato, ha sancito
che sussiste l’ipotesi di diffamazione aggravata anche quando la persona offesa
è presente nella “live” nella quale viene insultata.
1.
La vicenda.
I fatti oggetto di questa
pronuncia hanno inizio con la pubblicazione, sul social network Tik Tok,
di un video in cui l’imputato pronunciava nei confronti della persona offesa
espressioni offensive e ingiuriose, video che poi è stato, dallo stesso,
salvato e condiviso con terzi.
Per tale fatto l’imputato
veniva condannato dal Tribunale di Reggio Calabria per diffamazione aggravata
da altro mezzo di pubblicità ex art 595, c.3, c.p., sentenza poi confermata
anche in appello dalla corte territorialmente competente.
La difesa dell’imputato ha
proposto ricorso per Cassazione lamentando, come primo motivo di ricorso, il
vizio di violazione di legge in relazione all’art. 595 c.p. sul presupposto che
“la sentenza impugnata avrebbe ritenuto sussistente tale reato, pur
affermando la presenza della persona offesa al momento della pronuncia delle
frasi offensive, laddove invece tale presenza esclude la configurabilità della
diffamazione”.
2.
Il concetto di presenza nella sua
accezione di “presenza virtuale”.
La giurisprudenza in
materia (amplius Cass. pen. sent. n. 10313/2019) è constante nel
ritenere che proprio il concetto di presenza della persona offesa funga, ormai,
da discrimine tra l’integrazione del reato di diffamazione e l’illecito civile
dell’ingiuria. Infatti “mentre nell’ingiuria la comunicazione, con qualsiasi
mezzo realizzata, è diretta all’offeso, nella diffamazione l’offeso resta
estraneo alla comunicazione offensiva intercorsa con più persone e non è posto
in condizione di interloquire con l’offensore”.
Diventa quindi dirimente,
al fine di verificare l’integrazione del reato in esame, delineare la nozione
di presenza. Se tradizionalmente tale concetto fa riferimento alla
partecipazione fisica del soggetto che subisce le offese, intesa come presenza
fisica dello stesso e di terzi nella medesima unità di tempo e di luogo,
l’avvento dei moderni sistemi di comunicazione rende necessaria un’ulteriore
specificazione al fine di delineare i confini della c.d. “presenza virtuale”.
La Cassazione è giunta ad
una preliminare definizione, in base alla quale: si ha presenza virtuale, tale
da configurare l’illecito civile dell’ingiuria, ogni qual volta vengano
proferite offese “nel corso di una riunione a distanza (o “da remoto”), tra
più persone contestualmente collegate, alla quale partecipa anche l’offeso”
(Cass. pen., sent. n. 10905/2020); in tali situazioni, infatti, tutti i
partecipanti sono contestualmente collegati e posti nella stessa possibilità di
ascoltare e, eventualmente, rispondere.
Al contrario, non si avrà
presenza virtuale, e quindi si configurerà il delitto di diffamazione, “ove
manchi la possibilità di interlocuzione diretta tra autore e destinatario
dell’offesa, che resti deprivato della possibilità di replica, vale a dire
quando tra l’offensore e l’offeso non sia possibile instaurare un rapporto che
garantisca a quest’ultimo un contraddittorio immediato, con possibilità di
replica” (Cass. pen., sent. n. 17563/2023).
3.
La pronuncia.
La Corte, analizzando il caso in esame, in
applicazione dei principi supra menzionati, ha rigettato il ricorso
proposto dall’imputato sulla base del fatto che “al momento della
trasmissione del video in diretta , la circostanza che la persona offesa vi
abbia assistito, non consente di affermare la presenza nel senso sopra
specificato, atteso che la pur prevista possibilità di inserire contestualmente
dei commenti alle immagini e alle frasi pronunciate nel video, costituisce uno
strumento di interlocuzione limitato che non mette in rapporto diretto e
paritario offensore e offeso”, non
garantendo, dunque, il contraddittorio immediato, anche virtuale, tra le
due parti.
4.
Conclusioni.
Con tale pronuncia si conferma
definitivamente il principio secondo il quale il giudice, in presenza di dichiarazioni
offensive rese nel corso di un video pubblicato e diffuso sui social media nel
quale il destinatario è presente “da remoto”, deve verificare se i mezzi,
tecnologici utilizzati dall’offensore, siano tali rendere adeguato e immediato
il contraddittorio tra lo stesso e l’offeso, in quanto rispettosi di una
sostanziale “parità delle armi”.